Il mancato riconoscimento della differenza di genere,  la più visibile e, nello stesso tempo, la più misconosciuta, non consente di avere una visione profonda e  ampia nell’affrontare le varie forme di differenze che  compongono l’umanità.

La cultura patriarcale, che tuttora agisce  a livello sociale e culturale, propone una  weltanschauung, ovvero una visione del mondo, dal punto di vista maschile,  spacciandola per visione universale, che contempla maschile e femminile.  Di fatto così non è, in quanto le donne in ogni tempo, e ancora oggi, incontrano enormi difficoltà per esprimersi e arrivare all’apice nei diversi campi in cui si cimentano, dalla ricerca all’imprenditoria, al lavoro, dalla politica alla cultura, allo sport.

La storia dello sport, infatti, è stata a lungo caratterizzata da una netta predominanza maschile e, nonostante le donne siano entrate a pieno titolo nella pratica di larga parte delle discipline sportive,  a tutt’oggi lo sport è segnato da profonde differenze di genere: gli uomini partecipano in numero più ampio  delle donne alla pratica sportiva e gli sport maschili assumono maggiore rilevanza, sia sul versante economico che culturale.

Negli  studi sullo sport e sulla storia dello sport ci si è soffermati a sottolineare come le differenze naturali fra uomini e donne siano in realtà iscritte nei corpi: differenze generalmente amplificate dalla definizione di  regole differenti per le versioni femminili degli sport, se non addirittura determinanti per l’esclusione delle donne dalla loro pratica. È solo nel 1967, per esempio, che finalmente una donna,  Katherine Switzer,  può partecipare alla Maratona di Boston:  fino a quel momento le donne erano escluse da questa gara, perché considerata un’attività troppo faticosa!

Le differenze naturali, come si diceva sopra, si modellano sulle differenze dei corpi, femminile e maschile, e sulle differenze del corpo di ciascuno.  Pier Giuseppe Depetris sostiene che: “Il corpo, infatti, costituisce un nodo di conflitti, d’idee, di valori e principi, di interazioni tra la sfera sociale e individuale: il corpo in sé, per sé e per gli altri; il corpo come riferimento di base, strettamente legato all’identità, che ci consente di essere ciò che siamo e di stare con gli altri” (Depetris 2011).

È il corpo, quindi, oggetto di rappresentazioni e pratiche culturali, e anche soggetto dell’agire del singolo nel mondo. Il corpo nella pratica sportiva è soggetto nella relazione con sé e con l’altro e il corpo femminile e quello maschile descrivono modalità e livelli di relazione differenti.

Da queste considerazioni appena accennate, è nato l’interesse dell’Associazione Yuki per un percorso di ricerca al suo interno, sul tema della relazione delle donne con l’Aikido.

Il percorso è, infatti, iniziato nel 2009, quando in collaborazione con i Comuni di Beinasco, Bruino e Rivalta si è dato avvio a un laboratorio di autodifesa e legittima difesa rivolto alla popolazione femminile del territorio comunale con il titolo “Donne in difesa”.  Nel 2016, attraverso un seminario di approfondimento sul tema, realizzato ad Alpignano  dal titolo “Non più indifesa…ma in difesa”, si è consolidata la riflessione teorica e culturale sul tema che, nel 2017, ha portato a un seminario operativo, in cui maestre di arti marziali, di diversa provenienza geografica e teorico-pratica,  hanno proposto la loro personale rielaborazione delle pratiche marziali secondo un punto di vista femminile.

Abbiamo definito, come associazione, questo approccio Female Touch, per sottolineare l’importanza del punto di vista femminile negli approcci alle diverse tecniche delle arti marziali: perché la visione del mondo è diversa per una donna e questa visione passa attraverso il corpo e determina il rapporto con gli oggetti culturali prodotti nel corso della storia e non solo.

“Anche nel corpo, come nello spirito, non è propria della donna la tensione in avanti verso una linea che si fa sempre più sottile e si ramifica, in complessità sempre crescenti, ma è come se la donna descrivesse un cerchio dentro l’altro già solo con la realtà della sua esistenza”: queste parole di Lou Andreas-Salomé, psicoanalista e scrittrice tedesca, ben descrivono il rapporto delle donne con il proprio corpo e con il ritmo vitale che esso manifesta e che costituisce l’essenza dello spirito femminile.

È nata da queste riflessioni l’iniziativa che l’Associazione Yuki ha messo in campo il 16 e 17 marzo del 2019 “Le arti marziali come risorsa nella violenza di genere”, integrando tali riflessioni con la concezione di “salute” individuata dalla Carta di Ottawa del 1984, secondo cui la salute assume una dimensione dinamica: non solo l’assenza di malattia, ma anche campo di applicazione delle capacità individuali o di gruppo, orientate a modificare o a convivere con l’ambiente. La salute diviene, pertanto, una risorsa della vita quotidiana di ciascuna e ciascuno, e non lo scopo della propria esistenza.

La salute è benessere e nel Manifesto della salute femminile del 2016 il benessere è il prodotto di processi di prevenzione, individuazione e contrasto della violenza sulle donne.

L’iniziativa “Le arti marziali come risorsa nella violenza di genere” si è occupata di condividere e sensibilizzare  sui temi della violenza di genere in ogni contesto (familiare, lavorativo, sociale), attraverso l’apporto di diverse esperte e diversi esperti in campo politico-istituzionale e sportivo. 

I  laboratori proposti successivamente dalle maestre nei diversi campi delle arti marziali Odyle Noro, Elena Codoi, Maria Di Prima e Monica Ghirardi, hanno implementato una riflessione che, attraverso la pratica delle arti marziali, consenta alle donne di misurarsi con  la propria corporeità e maturare consapevolezza di sé e rapporti positivi  con i propri vissuti emotivi.

L’intervento della maestra Odyle Noro è stato particolarmente significativo, in virtù della sua esperienza con le donne vittime di violenza presso l’Hôpital Saint-Antoine di Parigi, dove conduce dei laboratori di attività di tai sabaki e di meditazione, finalizzati a recuperare un rapporto con la propria corporeità e a ricomporre il dolore psicologico sofferto nelle situazioni vissute.

Di Fabiana Fabiani, Presidente YUKI a.s.d.